Tutta un’altra musica: la precarietà di un giovane cantautore

Si definisce un precario dalla nascita. Riccardo D’Avino si racconta, o meglio ci racconta la sua storia di vita precaria nel mondo della musica. Il suo sogno? Fare di quest’arte – di questa passione – la propria professione. Un’aspirazione a cui molti tendono, cercando di portarla avanti, nonostante tutto. Nonostante le enormi difficoltà.

E si fanno allora sacrifici su sacrifici. Si sperimentano vie alternative. Ci si affida al web, ai social e molto spesso si trova conforto – quasi sempre economico – in altri impieghi ed impegni lavorativi, pur di non rilegare questo sogno in un cassetto.

Oggi, in Italia, si può ancora essere professionisti nel mondo della musica? 

Si può ancora, magari con maggiori difficoltà rispetto ad una volta, ma si può. Certo, oggi i dischi si vendono in quantità ridicole in confronto ad un tempo, e download digitali e streaming non riescono a compensare. Si guadagna con i live o con i diritti generati dalle proprie canzoni, se queste girano tanto. E per arrivare a farsi uno stipendio mensile con queste attività ci va tanto impegno, oltre che un po’ di fortuna e di prodotto giusto al momento giusto. Ma si può fare”.

Il doppio lavoro può essere una necessità almeno per i primi anni, oppure no?

“A mio parere, sì. Oggi più che mai, l’artista comincia pagando di tasca sua. E’ sempre più difficile trovare qualcuno che scelga di investire somme di denaro nel tuo progetto, perciò è importante avere una buona base economica per cominciare. C’è poi chi, come me, lancia dei crowdfunding per finanziare il proprio disco, il tour o l’ufficio stampa, ma spesso si riesce a recuperare solo una parte delle spese necessarie. Quindi sì, secondo me è meglio avere anche un lavoro per poter sostenere adeguatamente la propria passione, almeno finché qualcuno altro non lo farà per noi”.

Come è iniziata la tua carriera nel mondo della musica?

Sono cantautore, nel senso stretto del termine (cioè solista) dal 2009. Con gli anni credo di aver imparato a perfezionare e raffinare il mio linguaggio, ma anche ad essere più incisivo per quanto riguarda il messaggio che voglio trasmettere. E adesso sono soddisfatto, ma mi sento sempre un eterno allievo”.

Si può parlare di precariato nell’attuale scena musicale nazionale? Esiste una via d’uscita?

La musica, come ogni arte, è da sempre un lavoro precario. Oggi lo è ancor di più! Gli spazi sono sempre più ridotti, i soldi scarseggiano, e riuscire ad ottenere l’attenzione del pubblico appare quanto mai difficile: troppe le informazioni a cui viene costantemente sottoposto, e da cui si lascia facilmente influenzare. Essere umili, imparare dai propri errori, cercare sempre di dare il massimo per migliorarsi: è questa l’unica via d’uscita. E poi nel nostro paese le possibilità ci sono, non bisogna scoraggiarsi”.

Diventare un artista ma a che prezzo?

La passione paga se viene apprezzata da pubblico e dagli addetti ai lavori. Il sapersi rinnovare, il riuscire sempre a credere davvero in ciò che si fa, così come il riuscire sempre a scrivere buone canzoni sono sicuramente quegli aspetti fondamentali e necessari, senza i quali non si va da nessuna parte”.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Far conoscere il più possibile il mio ultimo album “Presa d’incoscienza”, uscito quest’anno, scrivere e creare sempre, cercare di migliorarmi più che posso e puntare al raggiungimento di risultati sempre più alti. E naturalmente, riuscire un giorno a fare della mia arte un mestiere vero”.