In Italia ci si laurea poco e male, parola dell’OCSE

In Italia, lo studio non paga. La cultura non paga. Il merito, spesso, non paga. E a quanto pare, secondo quanto riportato dall’OCSE, neppure la laurea paga.

Se fino a qualche tempo fa, il raggiungimento del diploma di laurea veniva considerato come un importante traguardo – oltre che, garanzia di un futuro professionale soddisfacente – negli ultimi tempi, qualcosa è cambiato. La laurea è diventata ormai un orpello. Un accessorio, ormai demodé, con cui arricchire il proprio curriculum. O, in alcuni casi, diventa persino un fardello da nascondere.

No, non stiamo recensendo uno dei film della famosa saga “Smetto quando voglio”, realizzata dal giovane regista Sydney Sibilia. Purtroppo questa è la realtà! E i dati lo confermano. L’Italia è uno dei pochi Paesi in cui le prospettive di lavoro per i giovani adulti (25-34enni) con un livello di studi terziario – e cioè, che abbiano conseguito una formazione superiore presso università e politecnici, oppure presso scuole/accademie/centri/istituti specializzati in settori disciplinari differenti – sono inferiori rispetto ai diplomati presso gli istituti tecnico – professionali.

Sempre in base a quanto analizzato dall’OCSE, in Italia il tasso di occupazione dei giovani adulti che abbiano conseguito un’istruzione secondaria superiore professionalein istituti professionali e tecnicirisulta superiore (68%) rispetto, non solo, a chi abbia completato un livello di studi secondari superiori ad indirizzo generale – come, liceo artistico, classico, scientifico, linguistico, musicale e coreutico, o delle scienze umane – (il 49%), ma persino, a chi abbia raggiunto un livello d’istruzione terziario (64%).

Prospettive insufficienti di lavoro e a bassi ritorni finanziari sarebbero, poi, le principali cause che avrebbero influito sulla percentuale di adulti in possesso di un titolo di studio terziario, come livello più alto d’istruzione. Solo il 18% dei 25-64enni sarebbero laureati – di questo: il 4% avrebbe conseguito una laurea di primo livello, mentre il restante 14% una laurea magistrale (o un livello equipollente – , un risultato esiguo rispetto alla media dei Paesi dell’OCSE, pari al 37%.

E se tutto questo non bastasse, non solo ci si laurea poco, ma anche male! Il 30% delle lauree riguarderebbero campi di studio come le belle arti e le discipline umanistiche, le scienze sociali, il giornalismo e l’informazione, che il mercato del lavoro non riesce a valorizzare, ne a smaltire. Si decide allora, di intraprendere un cammino professionale differente dalle competenze acquisite. E accade così che, in Italia, circa l’11,7% dei lavoratori abbia competenze in eccesso rispetto alle mansioni che svolge, il 18% sia sovraqualificato, mentre il 21% abbia qualifiche inferiori a quelle richieste per le mansioni che svolge.

A tutto questo si aggiunge un sistema universitario che, ancora oggi, appare estraneo a quelle che siano le reali esigenze delle aziende e del mercato del lavoro, ed un sistema produttivo ed amministrativo, in gran parte controllato da individui con livelli di istruzione medio- bassa, incapaci di valorizzare ed investire nell’innovazione e nel capitale umano.