“Se entri alle Poste sei sistemato!” Leggende metropolitane d’altri tempi

Secondo la proprietà commutativa, cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia. Se, infatti, all’interno della stessa espressione andiamo a sommare ad uno stuolo di lavoratori e lavoratrici una quantità crescente di contratti a tempo determinato da parte di Poste Italiane, il risultato sarà un eterno precariato.

Amen!

E sì, a volte, un miracolo sarebbe gradito. O quantomeno, ci si aspetterebbe che, senza troppe difficoltà, un lavoratore/una lavoratrice godesse di stabilità, oltre che di un’adeguata retribuzione. Un sogno? Forse! Soprattutto se si considera la crescente precarietà dei dipendenti di Poste Italiane. Contratti lampo e rinnovi continui da troppo tempo, ormai, caratterizzerebbero il modus operandi di quella che, ad oggi, rappresenta la più grande infrastruttura italiana nel recapito e nella logistica, così come nel settore del risparmio e nei servizi finanziari ed assicurativi.

Tantissimi i lavoratori e le lavoratrici assunti da PI per periodi di tempo brevissimi, con uno o più contratti a tempo determinato. Una situazione che è andata drammaticamente peggiorando, se si pensa che tale tipologia di contratto sia ormai arrivata a coprire quasi il 50% della forza lavoro impiegata nei servizi di recapito e di smistamento. Tutto questo, in una società che registra importanti utili: nel primo semestre del 2017, i ricavi totali del Gruppo Poste Italiane hanno, infatti, registrato una crescita del 2% rispetto allo stesso periodo del precedente esercizio, e si attestano a € 18 miliardi.

Nel frattempo, quelle carenze di organico che – prodotte da continui esodi e pensionamenti – richiederebbero in realtà una prestazione stabile e continuativa, si trovano, molto spesso, ad essere coperte da decine e decine di presenze temporanee, o stagionali. Una preponderanza, quindi, di contratti a tempo determinato che, per la maggior parte dei casi, verrebbero estesi per un periodo di tempo non superiore ai 24 mesi, invece dei 36 ammessi per legge. Una pratica diffusasi all’interno del Gruppo per eludere gli obblighi in materia di scatti di livello e di adeguamenti salariali, presenti all’interno del Contratto Collettivo Nazionale (CCNL).

Un continuo ricambio di contratti a tempo determinato (CTD), che non farebbe altro che peggiorare quel fenomeno – già drammaticamente noto in tutto lo Stivale – della precarietà. Un vero e proprio controsenso, se si pensa ai numeri che – qualche tempo fa – la società di servizi postali ha confermato di voler creare con il nuovo Piano Strategico 2015 – 2020. Un progetto ambizioso che avrebbe portato a ben 8000 assunzioni. E di queste, circa 4000 sarebbero state per i giovani. Fino ad ora, quello che si sta verificando, va la di là di ogni più rosea aspettativa.

La riduzione della componente ordinaria del costo del lavoro – connessa a stipendi, contributi e oneri diversi –, non sarebbe altro che la conseguenza diretta di una costante riduzione degli organici. Come, infatti, si legge nella Relazione Finanziaria annuale del 2016:

La componente ordinaria del costo del lavoro, connessa a stipendi, contributi e oneri diversi si riduce di 49 milioni di euro, passando da 5.787 milioni di euro del 2015 a 5.738 milioni di euro nel 2016, per effetto della riduzione dell’organico stabile e flessibile mediamente impiegato nell’anno (circa -2.400 risorse full time equivalent – FTE rispetto al 2015) che ha compensato i maggiori costi derivanti da festività cadenti di domenica, dal mancato riconoscimento della decontribuzione sul premio di risultato, e dagli accantonamenti connessi con le attese di rinnovo della componente economica del contratto collettivo nazionale di lavoro.

Alle 2mila risorse full time equivalent – FTE in meno rispetto a quelle impiegate nel 2016. Nei prossimi due anni, inoltre, proseguiranno gli esodi incentivati del personale interno a Poste Italiane nei prossimi due anni. Un piano esodi finalizzato ad agevolare un turn – over che faticherebbe a concretizzarsi.

Visti i numeri dei contratti di lavoro a termine – il cui numero, ai sensi dell’art.1, comma 1, D.Lgs. 368/01 come novellato dal D.L. 34/14(29) c.d. Jobs Act,  sarebbe  complessivamente di ben 12.111 unità. Così come il numero dei part – time, e l’impossibilità di vedersi trasformati in contratti a tempo determinato. Un trend che non sembra cambiare. Basti pensare al maxi recruiting di Poste Italiane: nuovi posti di lavoro come portalettere tutti, però, a tempo determinato.