Essere un artista in Italia: precariato, poca tutela e paghe inesistenti

 

di Suania Acampa

Tra i temi maggiormente strumentalizzati nei programmi elettorali dei partiti candidati alle elezioni del 4 marzo ci sono senz’altro la disoccupazione giovanile e di conseguenza quel fenomeno etichettato come “fuga di cervelli”.

In Italia il tasso di disoccupazione è pari all’11,2% (secondo i dati Eurostat aggiornati a gennaio 2018) ben lontana dal resto dei paesi fondatori la cui percentuale si aggira intorno al 7,3%. Tra le categorie più colpite c’è senz’altro quella degli artisti, i quali – secondo i dati Inps (2015) – si aggirano intorno alle 137 mila persone, per il 55% uomini e per il 45% donne.

Ma cosa significa essere un’artista in Italia?

Dalla ricerca effettuata sul mondo dello spettacolo, intitolata “Vita d’Artista” -realizzata da Fondazione Di Vittorio con il contributo e supporto delle sigle sindacali Slc-Cgil, presentata a Roma nel 2017 – emerge un quadro disarmante. Secondo i dati della ricerca, in Italia, i lavoratori dello spettacolo sono per lo più:

  • Giovani: il 71% ha meno di 45 anni.
  • Pagati pochissimo: la retribuzione media annuale è di poco più di € 5.000, cifra che diminuisce se si tratta di donne e lavoratori del Sud.
  • Precari: l’80% ha un contratto temporaneo, a tempo determinato o con partita Iva, il 10% ha un contratto stagionale e solo il restante 10% ha un contratto a tempo indeterminato.
  • Poco tutelati: solo il 17% è iscritto a un’associazione sindacale, e solo 14,4% ha una previdenza complementare.

Quella dei danzatori: la categoria più sofferente.

Tra le categorie di lavoratori che rientrano nel “mondo dello spettacolo” i ballerini sono sicuramente quelli messi peggio di tutti considerando che sono anche soggetti ad una carriera più breve degli altri, visto l’enorme sforzo fisico a cui sono soggetti. Tra i pochi danzatori che in Italia hanno ancora la fortuna di lavorare, il 90,5% guadagna meno di 10 mila euro all’anno. La danza in Italia sta attraversando (forse) il periodo più buio della sua storia, caratterizzata negli ultimi anni da un continuo susseguirsi di chiusure dei Corpi di Ballo negli Enti Lirici Sinfonici.

Ci sono un milione e quattrocento mila giovani che sognano di diventare ballerini ma i loro sogni, chissà perché, non sono ritenuti degni di rispetto […] mentre non raggiungono il milione, gli iscritti alle scuole calcio” queste le parole di Luciano Cannito – coreografo e regista italiano, i cui lavori sono rappresentati in numerosi teatri del mondo – che si è fatto promotore di una petizione e di una lettera aperta a Mattarella, dal titolo “Salvate i corpi di ballo“, lanciata via Internet qualche tempo fa. 

“A Palmira hanno distrutto teatri di pietra, da noi si distruggono gli artisti che fanno i teatri vivi”.

Cannito si è reso portavoce di un vastissimo movimento di opinione che nel 2017 si è formato spontaneamente in Italia dopo il licenziamento di quel che restava del Corpo di Ballo dell’Arena di Verona e, di lì a poco, del meraviglioso Maggio Danza fiorentino. Dei 13 corpi di ballo delle 13 Fondazioni Lirico Sinfoniche italiane se ne contano ormai solo 4 (dato anno 2015): numeri ben lontani dai 50 corpi di ballo presenti in Germania e dei 95 presenti in Francia.

La danza sta morendo?

La giustificazione dello Stato Italiano al problema è come al solito legata alla situazione economica, quindi a pagarne le spese è la cultura in generale e la danza, in particolare, considerata come “costo da tagliare” e “settore sacrificabile”. Ed è così che, ancora una volta, alla carenza di risorse economiche il Paese risponde con un sacrificio di cultura e di vite umane, andando a ledere mortalmente quella straordinaria tradizione della danza italiana che, in tante parti del mondo, ci invidiano.

Un problema economico, che pare lo Stato non ci sia stato durante la decisione di salvare le banche con ben 12 miliardi di euro.