Stage fantastici e dove trovarli: il caso Carpisa

Voglio raccontarvi una storia, intitolata: “Carpisa e la borsa magica”. Si tratta di una di quelle storie che, invece di conciliare il sonno, lo fanno perdere. E questo, non perché rientri nel genere horror. O, perché vi siano spargimenti di sangue. Il senso di orrido che vi travolgerà deriverà esclusivamente dalla lenta trasformazione a cui il lavoro è andato incontro.

C’era una volta un’azienda italiana specializzata nella produzione e vendita di borse, valigeria e piccola pelletteria. Il suo nome è Carpisa. Nata nel 2001, da allora la piccola tartaruga ne aveva fatta di strada! Con una rete di oltre 600 punti vendita ed un esercito di oltre 500 dipendenti, era pronta a conquistare il mondo: una borsa dopo l’altra. Un bel giorno Carpisa decise – in barba alle regole non scritte che contraddistinguono la rete e i social network, e ignorando qualsivoglia etica del lavoro – di ricorrere ad uno strumento facile facile per reperire a costo zero – e nel minor tempo possibile – quante più idee e progetti innovativi: il contest.

In questo caso, Carpisa aveva deciso di mettere in palio nientepopodimeno che: uno STAGE.

Ebbene sì, quello che per molti giovani viene considerato come un’opportunità professionale indispensabile, come un trampolino di lancio per acquisire esperienza e poter finalmente spiccare il volo nel mondo del lavoro, ora, si trovava ed essere offerto come premio a chiunque avesse realizzato e presentato – entro e non oltre il 6 settembre 2017 – un intero piano di comunicazione.

Per partecipare al concorso, e vincere uno stage della durata di un mese presso l’ufficio marketing & advertising Kuvera, era necessario:

1. Acquistare una borsa donna Carpisa della collezione autunno-inverno 2017/2018, e conservare il tuo codice gioco.

2. Elaborare un piano di comunicazione.

3. Completare il form presente nella pagina con i dati e i file richiesti.

Oltre al danno anche la beffa. Sicuramente andare oltre alle più tradizionali tecniche di recruting è ormai diventata una prassi conclamata. Dare prova di sé e delle proprie capacità, piuttosto che affidarsi esclusivamente al proprio curriculum vitae, può dimostrarsi vincente sotto diversi aspetti e punti di vista. Ma presupporre di fornire gratuitamente una consulenza – il cui prodotto finale sarebbe stato un piano di comunicazione completo-, dopo aver dovuto persino sborsare dei quattrini per acquistare una borsa della nuova collezione, sembra una follia!

La notizia è ben presto rimbalzata su tutti i siti delle maggiori testate italiane, e non solo. Il concorso Vinci uno stage in azienda è diventato, insieme alla campagna pubblicitaria del Buondì Motta, un vero e proprio tormentone, oltre che oggetto di efferate critiche per la superficialità con cui viene considerato il lavoro e l’occupazione giovanile. Una piaga sociale drammaticamente sfruttata per fini puramente commerciali.

L’importante è che se ne parli? Forse avrà funzionato per il Buondì Motta. Ma non per Carpisa. La prima a lanciare l’allarme per quanto stesse accadendo, è stata Carlotta Silvestrini – Digital Rebranding Strategist – dal suo account LinkedIn.

Io fingo di non pensare che un brand di tale entità – che ha chiuso il 2016 con un fatturato che ha superato i 140 milioni di euro – calpesti con sittanta arroganza la dignità professionale, mascherando da concorso l’ennesimo tentativo di avere a titolo pressoché gratuito con tante proposte sudate, ragionate, frutto magari di anni di studi alternati a porte sbattute in faccia”.

E continua: “…lo stage – facendo riferimento al concorso che non avrebbe previsto alcun inserimento professionale una volta trascorso il periodo di formazione – ma la becera scappatoia di chi sa bene che la disperazione è una leva potentissima per ottenere manovalanza a basso costo”.

O, in molti casi, per nulla retribuita.