Ok il prezzo è giusto! Con il crowdworking la precarietà va all’asta

Il lavoro nel corso del tempo ha assunto nuove forme. Alcuni le definirebbero fluide, altri semplicemente digitali. Eppure la precarietà resta, così come la mancanza di tutele, soprattutto se si considera il crowdworking.

Secondo quanto riportato nel rapporto dell’ILO – l’ International Labour Organization – la diffusione del lavoro online sta già portando ad una riduzione della qualità del lavoro e ad un peggioramento della vita dei lavoratori. L’Organizzazione ha rivolto la propria attenzione alle nuove piattaforme di manovalanza sottopagata, e in particolar modo ad una nuova forma di lavoro on-demand, il crowd work, intervistando 3.500 persone in 75 paesi.

La possibilità da parte delle aziende di travalicare qualsiasi barriera – sopratutto geografica e culturale – e di poter letteralmente pescare, in ogni parte del mondo, giovani talenti e professionisti da cui poter trarre profitto delle loro capacità, è un fenomeno in ascesa. Ed è così che il crowdworking ha iniziato la sua ascesa, e con esso anche le piattaforme che raccolgono milioni di iscritti, i quali se ne servono come vetrine attraverso cui mettere in mostra le proprie capacità e competenze, in attesa che qualcuno le trovi interessanti.

Si tratta del crowdworking – da non confondere con crowdfunding – , un altro fenomeno dell’era digitale per mettere in contatto la domanda e l’offerta di prestazioni professionali. Il rischio però è che un sistema ormai così ben collaudato, porti ad un livellamento verso il basso del costo del lavoro. Il crowd worker in questione, infatti, pur potendo decidere in totale autonomia il luogo ed i suoi tempi di lavoro – tenendo presente comunque eventuali scadenze – non ha alcun rapporto con il proprio committente: tra questo e il lavoratore, infatti, si frappone la piattaforma online che fungere da intermediario.

Alla mancanza di qualsiasi tutela si vanno ad aggiungere compensi pressoché irrisori. Una conseguenza, quest’ultima, della quantità abnorme di annunci di professionisti – e non – pronti a farsi una concorrenza spietata – riducendo notevolmente i propri costi – pur di risultare più attraenti – e quindi più economici, rispetto agli altri – ed ottenere così, quante più commesse possibili.

Diplomati e laureati: c’è n’è per tutti i gusti e per tutte le conoscenze!

Molteplici sono le microattività offerte da tali piattaforme online, che richiamano utenti di ogni genere, con qualsiasi competenza e specializzazione. Questi lavoratori inoltre sono inquadrati come autonomi (freelance) e per questo sono quasi sempre privi di tutele anche minime. Si tratta, poi, quasi sempre di lavoro a cottimo, pagato pochissimo. Anzi, secondo quanto rilevato dalla stessa ILO, la paga oraria si aggirerebbe intorno ai 3 dollari l’ora.

Ai grandi operatori internazionali – presi in considerazione anche all’interno del rapporto stilato dall’ILO – come, Amazon Mechanical Turk (AMT), Crowdflower, Clickworker e Microworkers, si aggiungono tante altre piattaforme specializzate nell’offrire microlavoro, come BestCreativity, GoPillar, Twago, in un’asta continua, quasi sempre al ribasso.

È semplice. Rapido. E decidi tu che prezzo darti!