Ma che senso ha lavorare nei Beni Culturali in Italia?

L’Italia è sinonimo di arte e cultura? In realtà sì. Siamo da sempre una terra di innumerevoli tesori artistici e anche di altrettante contraddizioni, soprattutto nei beni culturali.

Vivere di arte e di cultura in questo Paese è quasi impossibile, quindi figuriamoci arrivare a fine mese. E per chi vorrebbe inserirsi in questo settore, prendere atto di ciò è tremendamente desolante. Ma quindi in Italia una tua laurea in beni culturali dove ti porta?

Partendo dalla celeberrima quanto infelice frase che in Italia con la cultura non si mangia, chi si appresta a seguire un corso di studi nei beni culturali si troverà ad affrontare un percorso lungo e tortuoso. Terminati gli studi, infatti, dovrà cercare di inserirsi nel mercato del lavoro culturale italiano: ed è lì che le difficoltà si moltiplicheranno. Ricercare un impiego che sia coerente al proprio percorso di studi e, soprattutto, che preveda un vero e proprio stipendio, richiederanno tempo e una gran quantità di passione, nonché di pazienza.

La cultura e l’arte sono di casa in Italia, ma di queste il Paese sembra dimenticarsene con una facilità da fare quasi spavento. L’Italia possiede il più grande patrimonio culturale a livello mondiale: 47 siti che rientrano nella lista Unesco dei Patrimoni Mondiali dell’ Umanità, oltre 4.000 musei, 6.000 aree archeologiche, 85.000 chiese soggette a tutela e 40.000 dimore storiche censite.

I Beni Culturali rappresentano la più grande risorsa del nostro paese, eppure questa continua ad essere mal sfruttata. E ora le cose sembrano essere addirittura peggiorate con la crisi economica innescata dal Covid-19. Da un giorno all’altro, tutto chiuso, tutto bloccato. E prima che si riaprisse, che le attività culturali riprendessero e che si tornasse alla normalità ce n’è voluto di tempo.

Poche assunzioni ed opportunità di lavoro, salari troppo bassi, precariato, sfruttamento, mancata valorizzazione della propria professionalità: la normalità ormai per tutti coloro che professionisti dei beni culturali si trovano ad affrontare quotidianamente, e che con la pandemia, hanno visto ulteriormente peggiorata.

Per comprendere al meglio la situazione dei tanti professionisti del mondo dei beni culturali, ne abbiamo parlato con Federica, storica dell’arte e attivista di Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali

Ci sono stati cambiamenti nel vostro settore causati dal Covid – 19?

Il covid ha aperto una ferita che già esisteva e ha peggiorato la situazione. Moltissimi lavoratori non hanno ricevuto sussidi e hanno perso il lavoro. La cultura è stata enormemente penalizzata e gli unici a salvarsi sono salvati i dipendenti statali che hanno continuato a lavorare. I lavoratori esternalizzati si sono trovati senza il rinnovo del contratto e in cassa integrazione, ciò ha creato non pochi problemi“.

Purtroppo, la pandemia ha messo in luce problemi già esistenti, aggravandoli, e a tal proposito Federica aggiunge: “Chi già faceva fatica a sopravvivere prima, con la pandemia ha dovuto cambiare settore. Ci sono stati tanti che ci hanno inviato testimonianze sulle difficoltà di quel periodo. Molti hanno dovuto reinventarsi o cambiare lavoro per poter sopravvivere”.

E poi: “Durante la pandemia abbiamo solo notato un diverso trattamento: si è fatto tanto per lo spettacolo più che per la cultura, e oggi siamo di nuovo punto e daccapo”

Ci sono state “occasioni mancate” durante i periodi di chiusura? 

Ad oggi non ci sono segnali positivi ne tantomeno di ripresa, figuriamoci se si può immaginare un’inversione di rotta. Speravamo che con il Recovery Plan qualcosa cambiasse, ma per ora molti fondi saranno destinati a fondazioni private, e per i concorsi pubblici non ci sono novità. Si è preferito sperperare i soldi pubblici piuttosto che prevedere nuove assunzioni al Mibact“.

E per quanto riguarda la Netflix italiana ItsArt? “A cosa serve creare una piattaforma a pagamento che mette a disposizione video divulgativi, quando c’è già Raiplay che offre un buon servizio anche per diffusione dell’arte e della cultura italiana?

Precariato e cultura, qual è il punto di congiunzione che manca tra il mondo del lavoro e quello della cultura?

Attualmente nei piani di studio universitari manca un lato più pratico, ma più in generale mancano tirocini formativi così come le possibilità d’inserimento post laurea. Nel mondo della cultura esistono diverse specializzazioni e gradi e ognuno di questi passaggi ha un costo, molto spesso elevato, a cui non tutti possono accedere. Il mondo accademico e le istituzioni non dialogano, e intanto siamo noi a pagare il prezzo più salato“.

Come giudicate l’operato del Governo Draghi nel vostro settore? 

“Per ora il Governo non sta facendo nulla. Noi abbiamo chiesto di essere ascoltati e di poter intraprendere un dialogo con le istituzioni per poter parlare di stabilizzazioni, di contratti ed assunzioni. Per ora continuiamo ad essere ignorati. Non vediamo finanziamenti per nuove assunzioni né interventi diretti per migliorare la condizione di migliaia di lavoratori e lavoratrici dei beni culturali. Ma la cosa più tragica è che di questa condizione ancora non se ne parla nel dibattito politico“.

Ci si augurava che potesse esserci un’inversione di marcia, ma per ora questo resta ancora un miraggio. E quindi, viene spontanea la domanda, ma che senso ha lavorare in questo settore?

Di strafalcioni ed occasioni fallite o, peggio ancora, mai sfruttate ce ne sono a bizzeffe. Non mancano neppure le storpiature all’interno di un sistema che continua ad arrancare e che ha difficoltà ancora oggi a riconoscere e dare il giusto valore al suo patrimonio e alle professioni culturali.