L’Italia non è un Paese per i giovani, ma non prendiamocela con il Covid – 19

L’Italia non è un Paese per i giovani. Quante volte l’abbiamo letto? Tantissime. E con l’avvento di questa nuova crisi provocata dal Covid – 19, proprio quella condizione di precarietà a cui i giovani avevano dovuto abituarsi, è diventata sempre più profondamente e drammaticamente dura da sostenere.

Il futuro? Resta un’incognita. L’Italia, infatti, non è un Paese per i giovani e non lo è mai stato. Ed è inutile incolpare la crisi innescata dalla pandemia. Questa ha provocato non pochi danni, ma un debito pubblico alto e un welfare squilibrato rappresentano due costanti anche del periodo pre – Covid – 19 che pesavano, e continueranno a farlo, sempre e solo sulle nuove generazioni.

In base a quanto riferito da Bankitalia: quest’anno il debito pubblico italiano è salito a ben 2.569,3 miliardi. Un aumento di 159,4 miliardi rispetto all’anno precedente. Ma non finisce qui, perché se la priorità finora è stata (e continua ad essere) quella di far fronte all’emergenza sanitaria ed economica, i continui scostamenti di bilancio richiesti dal governo (sia di Draghi che di Conte) al Parlamento, diventano la norma.

Ad un anno dall’inizio della pandemia, come spiega anche Gualtieri le misure varate per far fronte alla crisi sono state “pari a circa il 6,6% del Pil, 108 miliardi a cui si aggiungono 300 miliardi di crediti oggetto di moratoria e 150 miliardi di prestiti garantiti erogati: si tratta di uno degli interventi più rilevanti in Europa e paragonabile per entità solo a quello messo in campo dalla Germania“. 

Il ricorso al maggior deficit è stata e continua ad essere una scelta inevitabile per arginare una crisi di questa portata, ma resta il dubbio che un così massiccio ricorso all’indebitamento possa essere considerato risolutivo sul lungo periodo.

La speranza è che davvero l’Italia riesca non solo a cogliere ma soprattutto a sfruttare al meglio la grande occasione del Next Generation EU per diventare un Paese più equo, sostenibile ed inclusivo, con un’economia più competitiva ed un mercato del lavoro più dinamico,  potenziando e fornendo una nuova chiave di lettura alle misure di welfare.

Il Next Generation EU è un’opportunità per ridare al Paese nuovi strumenti per trasformare quel contesto di costante complessità e incertezza in una condizione di benessere e di sviluppo per le nuove generazioni, lasciate per troppo tempo a sopravvivere in un mercato del lavoro caratterizzato da un alto tasso di vulnerabilità e di carenza di valorizzazione.

Non si tratta di generosità nei confronti dei giovani,  ma semplicemente è arrivato il momento che quei meccanismi inceppati che hanno allontanato dalla società e dai suoi processi di crescita (culturale, sociale ed economica) le nuove generazioni, vengano finalmente rivisti e messi da parte in nome di una più solida, solidale e qualificata un’inclusione.

L’Italia diventerà un Paese per giovani? Lo speriamo. Fino ad ora non lo è stato, e al momento (complice anche la pandemia) lo è ancor meno che in passato. Ma il momento è arrivato. E’ arrivato il momento che la società e la classe politica comprendano che il proprio futuro e il proprio valore passano necessariamente attraverso i giovani.

Non possiamo più aspettare.

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