Il nuovo rapporto di Amnesty International inchioda Amazon. Minacce, provvedimenti disciplinari, sorveglianza dei lavoratori: al colosso di Bezos piace diversificare

Correva l’anno 2012, quando un giornalista francese, Jean-Baptiste Malet, si fece assumere come magazziniere presso il magazzino di Montélimar. Protagonista diretto delle aberranti condizioni di lavoro a cui venivano sottoposti i dipendenti di Amazon, Malet trasformò la sua inchiesta giornalistica nel libro En Amazonie – oggi in vendita su Amazon – in cui denunciò le già precarie condizioni di lavoro dei dipendenti del colosso statunitense.

Intanto gli anni passano, eppure alcune problematiche drammaticamente persistono

Dalle ricerche condotte da Amnesty International è emerso come Amazon abbia contrastato i tentativi dei lavoratori di organizzarsi in sindacati, ma anche di avviare trattative collettive, attraverso la sorveglianza negli Usa e la minaccia di azioni legali nel Regno Unito e, inoltre, non abbia assunto provvedimenti-chiave per assicurare la salute e la sicurezza dei lavoratori in Francia e Polonia.

Questo è, in parte, quello che emerge nel rapporto intitolato “Amazon lasci i lavoratori organizzarsi in sindacato”, in cui la stessa Amnesty International ha descritto le modalità con cui l’azienda tratta i propri lavoratori in Francia, Polonia, Regno Unito e Stati Uniti d’America.

Il ripristino degli obiettivi di produttività, le minacce e i provvedimenti disciplinari nei confronti dei sindacati, così come la sorveglianza dei propri lavoratori, e la mancata collaborazione con i sindacati su questioni di salute e sicurezza durante la pandemia sono alcuni degli aspetti che contraddistinguono Amazon un colosso ancora poco incline al rispetto dei diritti dei propri lavoratori e degli stessi standard internazionali sul lavoro.

Diritto ad organizzarsi in sindacato a veder tutelata la propria privacy rappresentano dei diritti inalienabili per qualunque lavoratore e dei doveri per qualunque datore di lavoro. Eppure non sempre è così, infatti, Amazon dovrebbe quanto meno astenersi dal violarli.

Nelle occasioni di confronto con Amazon, l’azienda ha sempre anteposto il rispetto della possibilità da parte delle lavoratrici e dei lavoratori di organizzarsi in sindacato. Tuttavia questo è stato poi smentito da diversi episodi – resi pubblici dalla stampa internazionale – e dalle testimonianze degli stessi dipendenti iscritti al sindacato, che noi abbiamo intervistato. Basti pensare che, per ben due volte, sono trapelati dei video in cui la stessa Amazon proponeva dei corsi di formazione ai suoi dirigenti in cui equiparava il sindacato ad un pericolo per l’azienda”. All’interno di questi corsi disponibili online emergeva, infatti, un aspetto assi particolare: “La formazione verteva sull’evitare o comunque fortemente sconsigliare i sindacati”.

E mentre con la pandemia Amazon ha visto impennare il proprio giro d’affari, quello che in realtà si è registrato all’interno dell’azienda è stato tutt’altro. “In merito alla gestione della pandemia non solo si sono avuti ritardi nella distribuzione dei dispositivi di protezione individuale, ma in alcuni casi – e la Francia ne è un esempio – quando in alcuni magazzini è cominciato effettivamente circolare il virus, le controparti sindacali non sono state minimamente coinvolte nella gestione dello stesso, ci spiega Ilaria Masinara, Campaign Manager di Amnesty International.

E sebbene la crisi non abbia sfiorato neppure minimamente il colosso Amazon che si comporta, a volte, come un Grande Fratello, mettendo sotto stretta sorveglianza i suoi stessi dipendenti.Di solito si pensa che la soluzione sia quella del boicottaggio, ma Amnesty non sposa questa tesi. Secondo noi, infatti, il boicottaggio potrebbe essere un boomerang i cui effetti si ritorcerebbero di sicuro contro gli stessi lavoratori”.