Giovani in fuga: quando i conti non tornano

 

L’Italia non è un paese per giovani! I dati parlano chiaro: solo un giovane su tre decide di restare nei confini nazionali per trovare lavoro.

I dati, riportati sull’articolo di Repubblica.it  vanificano in qualche modo gli interventi che il Governo ha messo in atto con la legge di bilancio del 2017. L’aumento della disoccupazione giovanile non è una novità, il 31 agosto scorso il “Sole 24 ore” riportando i dati di luglio rilevati dall’Istat, riguardo la situazione occupazionale italiana, rilevava un aumento dello 0,3% della disoccupazione giovanile (il campione in analisi va dai 15 ai 24 anni) rispetto al controllo di giugno.

A stupire è proprio quello 0,3% poiché è proprio per la fascia d’età 15 – 29 anni che il Governo, con l’ultima Legge di bilancio, aveva previsto degli incentivi, che avrebbero dovuto indurre i datori di lavoro ad assumere giovani. La manovra varata sul finire del 2016 garantisce ai datori di lavoro, che assumono giovani, un risparmio sulla contribuzione annua pari a 8. 060 euro per ogni assunto.

La domanda sorge quindi spontanea: perché aumenta la disoccupazione se ci sono norme che favoriscono le assunzioni? Sarà forse colpa del costo del lavoro? Oppure è un dato mascherato dal lavoro in nero, o peggio, non retribuito? Le ipotesi sul tavolo sono varie, e a seconda di quale si sceglie, la situazione lavorativa italiana cambia. Se il problema è il costo del lavoro – cioè, la somma delle imposte e del salario da corrispondere ad ogni dipendente – la manovra del Governo è l’ennesimo mezzo passo falso. Se, al contrario, il problema è il lavoro in nero, o peggio non retribuito, la situazione è ancora più drammatica, in quanto, oltre ad incidere sull’occupazione il dato si riflette, non senza conseguenze, sull’evasione fiscale.