Dimmi cosa mangi e ti dirò che lavoro farai!

Con i tempi che corrono, per lavorare bisogna fare carte false per entrare nel mondo del lavoro. C’è chi entra per la porta principale. Chi, con qualche escamotage, da quella sul retro. E chi, invece, passando per la cucina.

Non stiamo parlando di figure professionali legate all’enogastronomia. Ma di annunci di lavoro rivolti a ben altri tipi di professionisti. Annunci di lavoro in cui, oltre alle skills notoriamente richieste per ricoprire quella determinata posizione impiegatizia, se ne aggiungono altre. Si tratta di requisiti particolari nel loro genere. E che, talvolta, possono persino rappresentare un valore aggiunto, se non addirittura preferenziale nel processo di selezione del candidato.

Non è necessario che la risorsa abbia o meno esperienza in quel determinato settore, abbia lauree di ogni ordine e grado, affiancate da master e corsi specialistici, conosca a menadito l’italiano e anche l’inglese. Non basta che sia multitasking, automunito, disposto al trasferimento e ad orari di lavoro flessibili, che abbia un atteggiamento proattivo, confidenziale e disponibile e che, inoltre, sia in grado di affrontare il lavoro in team.

Ed ecco che, tra i requisiti richiesti per uno stage all’interno dell’Ufficio Rapporti Istituzionali, la Lav – Lega anti vivisezione – richieda come titolo preferenziale: la scelta vegana! Ed è così che le preferenze alimentari diventano vincolanti per il futuro candidato. E sebbene sul posto di lavoro debba esserci una comunità di intenti e di vedute, può l’etica pendere come un’affilata spada di Damocle sulla testa dello stagista? Essere onnivoro – a parità di requisiti – può diventare un fattore discriminante anche ora, in questo particolare momento, in cui le possibilità lavorative sono sempre più ridotte all’osso?

Non si tratta di scegliere come candidato – in questo caso, per uno stage di 6 mesi, di cui non viene definita neppure la retribuzione all’interno del bando- un individuo che abbiano commesso in prima persona violenze o crudeltà sugli animali. Bensì la ricerca dovrebbe tener presente – in termini meritocratici – quelle che siano le capacità ed abilità del candidato, sulla base delle mansioni che lo stagista andrà, poi, a svolgere. Non si dovrebbe indagare sulla sua dieta alimentare. Sia che esso sia onnivoro, vegetariano o vegano.

Non dimentichiamo l’art. 8 dello Statuto dei Lavoratori, in base al quale: “E’ fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore”.

Rimanendo eticamente fedeli a quanto professato, la Lav dovrebbe aggiungere tra i titoli preferenziali – oltre all’essere vegano – anche l’impegno costante, da parte dello stagista, a non impiegare cosmetici, prodotti per l’igiene personale e detersivi che siano testati sugli animali. Sempre lo stagista – al quale, tra l’altro, non viene neppure assicurata l’assunzione dopo il praticantato- dovrebbe, inoltre, avere l’accortezza di indossare esclusivamente indumenti in ecopelle, e capispalla con imbottitura sintetica.

L’impegno profuso da parte della Lav è sicuramente encomiabile. Così come lodevoli sono le cause per cui si batte da oltre quarant’anni. Il rispetto della vita, della dignità e della libertà di tutti gli animali umani e non umani, rappresenta il suo principale obiettivo. Un rispetto condiviso e condivisibile, che non necessariamente deve dipendere dalle scelte alimentari.

Anzi, una simile opportunità lavorativa – per quanto breve e intensa possa essere – potrebbe rappresentare l’inizio di una nuova consapevolezza – etica, sociale oltre che gastronomica – da parte dello stesso stagista.