Anpal, quando i servizi del lavoro sono retti da precari

di Francesco Bellizzi

Sembra sia passata una vita da quando si vociferava su una stabilizzazione per i circa 800 lavoratori precari dell’Anpal. Creata nel 2015, l’Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro – attraverso la sua controllata, Anpal Servizi S.p.A. – coordina le politiche del lavoro a favore di persone in cerca di occupazione, contando su un personale complessivo di 1.300 dipendenti, di cui ben più della metà precari.

Sembra essere passata un’eternità da quei giorni, in realtà soltanto pochi mesi. Ad essere cambiato è invece il governo nazionale e la visione politica in merito ad occupazione e lavoro. Al centro della nuova strategia c’è l’erogazione di un reddito di cittadinanza che verrà collegato a politiche attive sul lavoro (formazione, apprendistati, colloqui, bonus…). Protagonisti di questo piano, al momento, saranno esclusivamente i Centri per l’impiego con il loro esiguo personale di 2.000 dipendenti.

Ma sul destino che attenderà i dipendenti Anpal (impegnati anche in assistenze tecniche negli stessi Centri per l’Impiego) non si ha, ancora, nessuna certezza. Al momento da Roma non è stato aggiunto ancora nulla alla frase – più che sibillina – inserita nella legge di Bilancio 2019: “riforma della governance dell’Agenzia nazionale per il lavoro (Anpal)”.

L’ultima protesta dei precari dell’agenzia risale al 4 ottobre scorso sotto la sede centrale di via Fornovo a Roma: i dipendenti sono arrivati da tutta Italia per chiedere la stabilizzazione e il rispetto dell’accordo sindacale del 13 luglio 2017.

I problemi non nascono di certo oggi. Guardando in dietro sembra che l’agenzia sia nata su presupporti già deboli in partenza. Come dimenticare, ad esempio, gli attriti con l’Inapp, l’ente pubblico di ricerca con il quale Anpal condivide competenze e ruoli? Nato due anni fa, l’Inapp, avrebbe dovuto coprire alcune delle funzioni che il Cnel avrebbe lasciato vacanti dopo la chiusura. Peccato che il referendum sulla riforma costituzionale del 2016 si chiuse con un esito negativo lasciando in piedi il Cnel e azzoppando, di conseguenza, l’appena nato Inapp.

Una speranza sul proprio futuro, i precari Anpal l’avevano riposta nel loro passaggio dalle Province alle Regioni. Un piano pluriennale di trasferimento che ha coinvolto l’anno scorso 6.000 persone e che era stato messo in piedi in vista di un altro importante effetto che la riforma costituzionale avrebbe dovuto produrre: l’abolizione delle Province Italiane. Abolizione che non c’è stata con la conseguente confusione di livelli di competenza con Comuni e Regioni.

Tra i 6.000 trasferimenti c’erano anche i 1.300 dell’Anpal. Per la fetta di precari (800, tutti in scadenza tra il 2019 e il 2020) Paolo Gentiloni e il ministro del Lavoro Giuliano Poletti avevano inserito nella legge di Bilancio 2018 una deroga alle regole sulle assunzioni: applicando l’articolo 20 del decreto legislativo 75 del 2015 fu concesso il rinnovo dei contratti in vista della stabilizzazione. Sempre a garanzia delle stabilizzazioni, in bilancio erano stati inseriti ulteriori 15 milioni annuali di contributi Stato-Regioni che sono andati ad aggiungersi ai 249,25 milioni stanziati per la gestione dell’arrivo dei 6.000 dipendenti delle province.

La nuova legge di Bilancio per l’anno 2019 – ancora in attesa di voto del Parlamento ma già bocciata da UE e Fondo Monetario Internazionale – congela tutto rinviando qualsiasi decisione a data da destinarsi. Per il futuro dell’Anpal sarà però fondamentale il mese di febbraio. A gennaio scadrà, infatti, l’incarico di direttore generale dell’agenzia attualmente ricoperto da Maurizio Del Conte, direttore generale delle politiche attive del ministero. Da come si procederà (se si procederà) al rinnovo del consiglio di amministrazione, si capirà quali sono le intenzioni del ministro Luigi Di Maio.